lunedì 6 ottobre 2008

PER UNA SCUOLA CAPACE DI FUTURO



di Davide Rossi, segretario SISA – Sindacato Indipendente Scuola Ambiente – www.sisascuola.it

Un cittadino italiano, non solo un lavoratore della scuola, uno studente o un genitore, ha facilità a comprendere che è difficile parlare per la scuola di novità e cambiamenti, prima ancora che di riforme, se le novità coincidono con un taglio di 8 miliardi (non milioni!) di euro del bilancio dell'istruzione e una sforbiciata di almeno 140mila posti tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario, con la ricaduta immediata di avere classi da oltre 30 alunni e decretando la morte delle scuole dei piccoli comuni.


Per altro lo stesso governo ha fatto una doppia ammissione che lo discredita da solo, la prima è l'ammissione del livello miserevole degli stipendi dei lavoratori del settore, la seconda ammette che il 97% del bilancio dell'istruzione è destinato ai salari. La conseguenza logica, anche per il più sprovveduto tra gli amministratori, sarebbe quella di aumentare il bilancio della scuola, qualificarne le retribuzioni e quindi, solo dopo, avviare un progetto di riorganizzazione del sistema, che altrimenti, è evidente, risulterebbe una mera operazione di cassa.

Tuttavia la situazione è forse più grave, perché dietro la logica “risparmista” mossa contro la scuola, mentre ad esempio in campo militare il governo Berlusconi spende e acquista nuova tecnologia di guerra a prezzi superiori ai tagli promessi dall'avvocatessa Gelmini, si paventa un attacco complessivo, oserei dire sistemico, alla scuola pubblica sancita dalla Costituzione Italiana.

È evidente che la logica del ministro dell'Istruzione è quella di dequalificare, per gradi ma con scientifica meticolosità, la scuola pubblica, favorendo nei fatti le scuole private. Il tempo pieno alle elementari verrà sì garantito dal maestro unico, ma affiancato da giovani volontari del tutto inesperti e sottopagati per le 16 ore rimanenti da “riempire” alla meno peggio. Per altro la reinvenzione della “maestra mamma” è in totale antitesi con la maturazione professionale dei docenti elementari impegnati da anni in ambiti disciplinari specifici, un percorso intrapreso da venti anni contro la logica del docente “tuttologo” decisamente superata.

Facile allora prevedere che nelle grandi città chi potrà permetterselo cercherà di mandare i figli in scuole, ovviamente private, in cui il tempo pieno non sia garantito dai volontari, ma da due insegnanti come ancora avviene per il momento in tutta la penisola, altri indirizzeranno i figli nella scuola media o superiore, ancora una volta privata, in cui le classi non siano composte da una trentina di ragazzi ammassati, ma in cui una ventina di ragazzi possano avere modo di essere meglio seguiti, magari ritrovando lo spazio e i tempi per la relazione educativa.

In poche parole il governo vuole equiparare le scuole pubbliche e quelle private, diminuendo i fondi per le prime e aumentando, contro la Costituzione, i fondi per le seconde, permettendo tuttavia alle seconde di non essere vittime dei nuovi modelli organizzativi penalizzanti. Direbbe don Milani che è un modo neppure tanto subdolo di “fare parti uguali tra diseguali”, accrescendo la disuguaglianza e inventando d'ufficio scuole di serie A e di serie B.

Ugualmente i piccoli comuni, la maggior parte degli ottomila della Repubblica Italiana, rischiano di vedere chiuse le scuole pubbliche e al massimo assistere all'apertura di scuole - negli stessi edifici chiusi d'ufficio dal ministro Gelmini - di natura confessionale o confindustriale. Per i piccoli comuni, spesso con cinque classi per 50 alunni alle elementari e tre classi per 30 alunni alle medie, da anni avanzo la proposta del modello francese. Queste scuole, fondamentali per il tessuto sociale delle piccole città, siano tenute aperte con un contributo al 50% delle spese totali, stipendi compresi, da parte delle regioni e delle amministrazioni locali. Le regioni, che hanno gravi e grandi responsabilità, vorrebbero mettere mano ai programmi, al nord ad esempio per “padanizzarli” o sull'istruzione professionale, con il proposito di mettersi in combutta con i più vari e più o meno seri imprenditori per “guadagnarci”. Questo stile spesso piratesco delle regioni è molto poco europeo e nulla ha con un coinvolgimento serio, come sarebbe ad esempio la garanzia di un sostegno economico alle scuole elementari e medie dei piccoli centri.

I progetti del governo, di cui il ministro Gelmini è un semplice terminale operativo, sono quindi di portata devastante, con il chiaro obiettivo di non rispettare le indicazioni provenienti da tutte le organizzazioni internazionali preposte alla promozione della scolarità e dei saperi.

Ai cittadini tutti si pone allora il problema di come rispondere, come difendersi, come risultare propositivi, anche perché sempre più e a ragione la società italiana chiede idee alternative, non semplici no.

In questo senso i movimenti di lotta, le occupazioni, gli scioperi, le manifestazioni, oramai quasi giornaliere, hanno un valore non solo di contestazione, ma anche fortemente propositivo, perché ci si ritrova insieme, si parla e si discute, si riannoda il filo, da troppo tempo smarrito, di un impegno per la scuola di tutti.

Ogni giorno si fa più chiara la necessità di una scuola in cui i saperi siano il risultato di una ricerca e di una costruzione in cui gli studenti siano attivi, partecipi e protagonisti e non passivi recettori, si fa strada la convinzione che solo la libertà d'insegnamento dei docenti e la libertà d'apprendimento degli studenti possano essere gli strumenti regolatori del fare scuola.

Certo occorrono investimenti, fiducia, nuova consapevolezza del ruolo e della necessità dei saperi per il domani. È un percorso lungo e articolato, non immediato, Gelmini e soci hanno deliberatamente avviato un processo di dismissione della scuola pubblica che ha solo due esiti possibili, la sua vittoria e il regresso civile e sociale del paese, oppure la sua sconfitta e l'apertura di nuovi scenari oggi difficilmente ipotizzabili, ma ragionevolmente volti ad una scuola italiana che torni ad essere capace di futuro.

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